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Patti Smith e la guida autonoma

Spero non me ne voglia Federico Savini (e la rivista Blow Up) ma credo che la sua riflessione sul rapporto che abbiamo con gli algoritmi e il politicamente corretto, che estrapolo dalla rubrica TalkTalk news nel numero di dicembre della rivista, meriti di essere citata pressoché per intero:


«La notizia che questo mese ci spiega meglio di ogni altra cosa in che razza di mondo viviamo arriva come sempre dal magico mondo dello streaming, nella fattispecie delle piattaforme musicali, che pressoché in blocco hanno rimosso la canzone Rock and Roll Nigger di Patti Smith, contenuta nello storico album “Easter”. Come dovrebbe essere ovvio a chiunque, la canzone tutto è fuorché razzista, visto che con il termine proibito con la N davanti intende riferirsi proprio ai ribelli non compresi dal loro tempo e dai pregiudizi serpeggianti nella società. Al punto che si parla addirittura di Gesù Cristo nella canzone, che fece discutere anche allora (com’è noto e facile da capire, negli Usa queste faccende sono tutt’altro che nuove) e sulla quale Patti Smith dichiarò che “l’idea è prendere un termine spiacevole e doloroso e ricostruirlo da zero, rimuovendo la sua accezione dispregiativa, come fecero i ragazzini con la parola «Punk». Fu parte del tentativo del mio gruppo di abbattere le barriere ed eliminare le etichette”. Ma non è che si possa chiedere a un algoritmo di andare tanto per il sottile (mentre chiedergli di elaborare strategie persuasive raffinatissime al solo scopo di inculcarmi il bisogno indotto di comprare un monopattino elettrico anche se vivo in campagna è normale amministrazione psicometrica di questi tempi…). Così, la canzone è stata rimossa, senza che nessun essere umano intervenisse per sciogliere il fraintendimento, dagli algoritmi dei servizi di streaming. Che, di converso, non hanno problemi a divulgare non tanto le canzoni quanto i podcast nei quali il professionista dell’attirare attenzione Kanye West sciorina idee sostanzialmente ripugnanti su laqualunque, ma ultimamente soprattutto sugli ebrei [in particolare ha definito Hitler un “genio del marketing” e sostenuto che gli ebrei non debbano impedirci di amare i nazisti, ndr]. Cosa che gli è costata lo scaricamento greenwashinesco da parte di Adidas, mentre Spotify per bocca del ceo Daniel Ek ha fatto sapere che le affermazioni di Kanye sono “semplicemente orribili”, ma purtroppo “la sua musica non viola la nostra policy”. Quindi c’è giustizia, insomma. Nel senso che siamo così bravi a costruire gli algoritmi che ormai l’idea di contestarli ci mette soggezione».


Ma cosa dice la canzone per meritare la censura? Questo:

Jimi Hendrix was a nigg​er

Jesus Christ and Grandma too

Jackson Pollock was a nigg​er

Nigg​er nigg​er nigg​er nigg​er

Nigg​er nigg​er nigg​er

Outside of society they're waitin' for me

Outside of society if you're looking

That's where you'll find me


Nelle note di copertina di Easter Patti Smith spiega come la parola Nigger non si riferisca tanto a un colore, quanto piuttosto serva per denunciare la piaga delle discriminazioni. La parola, attraversata dall’arte (nel suo caso la canzone), viene allora ridefinita: vale per tutti i diversi, per quelli che sono fuori dalla logica perbenista, per quelli che vanno oltre i trucchetti politici (mathmatics poli-tricks nel testo) del politicamente corretto, per quelli che sfuggono alla forma normale e ai preconcetti che questa perpetra; ecco, tutti questi sono Negri. Lei stessa si definisce nigger; così come per Patti Smith lo è l’emarginato Rimbaud, che conia versi d’oro dalla molle merda del mondo.


Ciò che mi pare interessante al di là della censura del brano, come Federico Savini mette giustamente in rilievo, è che senza accorgercene deleghiamo agli algoritmi la funzione di guida per le nostre vite, e senza batter ciglio. Delle volte li vediamo, ma sentiamo di non poterci fare niente. Patti Smith aveva trovato una formula efficace per dirla: mathmatics poli-tricks. In quel mathmatics è facile intuire l’algoritmo, e nel trucchetto da politica (poli-tricks) il politicamente corretto, la briglia giustificante della ragione fideistica della scienza nell’accettare passivamente il controllo.

Sono così sofisticati e pervasivi, gli algoritmi, che ci mettono soggezione. Non abbiamo più la forza, e la voglia, di metterli in discussione perché tanto è inutile. Perché ci fa comodo avere la strada tracciata, avere qualcosa di superiore – ma che ci somigli e sappia cosa vogliamo (o meglio ancora che ci suggerisca cosa desiderare) – e di indiscutibile (proprio come una divinità) a cui affidarci. Da seguire. Proprio come quando ci facciamo avanti sul marciapiede chattando su WhatsApp come non ci fosse un domani, pretendendo che siano gli altri a spostarsi ed evitare gli urti, con gli occhi allo schermo perché tanto fuori ci sarà qualcosa che si occuperà di noi. Non sappiamo più cos'è lo spazio; abbiamo un'idea distorta di quanto spazio occupiamo e quanto ce ne dovrebbe spettare (per eccesso). Troppo impegnati nelle nostre faccende. Come quando alla guida usiamo il telefono, chattando su WhatsApp con urgenza: saranno gli altri guidatori a dover prestare attenzione a non venirci addosso; oppure dovremmo affidarci alla guida autonoma, cosicché intanto che la macchina va possiamo trastullarci come ci pare.


Foto interna di copertina da Patti Smith Group, Easter, Arista, 1978 (particolare)

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